Lo sviluppo della rappresentazione grafica

Il disegno nei bambini

1. Cos’è un disegno?

Alcuni disegni consistono solo in scarabocchi o facili configurazioni, ma molti disegni che noi osserviamo sono delle raffigurazioni, in altre parole sono rappresentazioni di qualcosa. Nella maggior parte dei casi, quindi, il problema di definire cos’è un disegno diventa quello di definire cos’è una rappresentazione pittorica.
Sembra ovvio che una rappresentazione pittorica sia una serie di segni, ma il problema della sua spiegazione riguarda il modo in cui questi segni rappresentano qualcos’altro: il soggetto della rappresentazione pittorica. La relazione tra la percezione di una rappresentazione pittorica e la percezione del mondo reale, è la questione che divide maggiormente le teorie sull’argomento.
Goodman (1976) sosteneva che i segni con cui si eseguono le rappresentazioni pittoriche possono essere letti come simboli di un linguaggio. Il disegno di un cane, quindi, è un simbolo come la parola “cane”: la rappresentazione di un cane ci può apparire realisticamente convincente solo per abitudine.
Questa teoria è stata criticata in base al fatto che le persone non hanno bisogno d’addestramenti, per essere in grado di riconoscere i soggetti delle rappresentazioni. Le rappresentazioni, infatti, possiedono informazioni che hanno abbastanza in comune con quelle fornite dalla percezione del mondo reale.

2. Perché si studiano i disegni dei bambini?

I disegni dei bambini sono belli da vedere e suscitano interesse come indicatori di qualcosa di più generale. I simboli grafici sono un mezzo di comunicazione facilmente accessibile soprattutto dai bambini.
Gardner (1973) concludeva che i bambini potevano cogliere, molto presto, la relazione tra i simboli grafici e i loro referenti; Callaghan T. C. (1999) prende spunto da questo concetto in uno studio dove considera l’importanza di stabilire quando i bambini diventano consapevoli che i disegni possono riferirsi a cose reali e quando possono usare questa consapevolezza per produrre intenzionalmente un disegno diretto a questo scopo.
Le prime produzioni grafiche sono indicative di aspetti generali dello sviluppo e delle capacità sottostanti.
Questo tipo di studi ha avuto un incremento, anche perché i ricercatori si sono resi conto che il pensiero e la comunicazione potevano essere rappresentati graficamente. Nel ventennio precedente, al contrario, l’analisi della comunicazione era esclusivamente incentrata sulle parole.
La comprensione della natura delle azioni è un altro fondamentale motivo che ha spinto le ricerche verso questa direzione. Oltre alla “conoscenza del cosa”, ci si propone di indagare anche la “conoscenza del come”: si può studiare il comportamento del disegno su due diversi livelli, ugualmente importanti.
Molteplici interessi hanno quindi portato a focalizzare l’attenzione sui disegni dei bambini.
Esistono diverse ragioni per studiare le rappresentazioni dei bambini: s’indaga sulle relazioni spazio-geometriche, sulle relazioni tra parti e tutto, sulle strategie di rappresentazione, sull’esecuzione motoria, sulle influenze cross-culturali, … C’è anche chi parte dal presupposto che il disegno sia fonte dell’esistenza di processi più generali di competenza e di cambiamenti di rappresentazione (Karmiloff-Smith, 1989; Goodnow e Levine, 1973).
Un modo di addentrarsi nello studio del disegno infantile è limitare l’indagine ai disegni di una cosa sola. Sono stati compiuti studi sui disegni di una sedia (O’Seha, 1894), di animali (Graewe, 1935), di case (Kerr, 1937; Markman, 1954) e numerose sono state le ricerche sui disegni della figura umana, di cui parlerò più avanti.

3. Come si studiano i disegni?

Per osservare i disegni di uno studio sperimentale è importante definire il giusto metodo di analisi.
Goodnow (1977) rileva che in psicologia, per condurre un lavoro sullo studio del disegno, si fa particolarmente attenzione a tre linee generali. Queste sono a) l’analisi dei modelli spaziali; b) lo studio delle sequenze; c) lo studio dei problemi d’equivalenza.
- Analisi dei modelli spaziali
I disegni sono dei modelli composti di unità o elementi in relazione l’uno con l’altro. Queste unità possono essere di diverso tipo come punti, linee, cerchi, ….
L’osservazione di linee e spazi è un modo per vedere le differenze tra i modelli.
- Studio delle sequenze
La sequenza e la direzione sono aspetti importanti di molte attività. Spesso il punto d’inizio di una sequenza porta ad una diversa conclusione dell’azione totale.
Le sequenze nei disegni riguardano il modo in cui gli elementi influiscono su quelli successivi.
- Studio dei problemi d’equivalenza
Gran parte delle ricerche si occupa di come “una cosa può stare per un’altra” (per esempio le parole stanno per gli oggetti). I disegni, come equivalenti, sono molto ambigui e possono variare la loro relazione con ciò cui si riferiscono. Due o più equivalenti possono stare per la stessa cosa. Quest’ambiguità è una caratteristica molto importante nei disegni dei bambini e in molte altre rappresentazioni grafiche.
Il disegno è un settore dov’è possibile osservare il modo in cui gli equivalenti si sviluppano.

4. Caratteristiche del disegno infantile

La maggior parte dei dati sul disegno infantile proviene da studi trasversali (Goodenough, 1926; Kellogg, 1970), mentre ci sono relativamente pochi studi longitudinali sul modo in cui i singoli bambini sviluppano le loro abilità grafico - pittoriche (Luquet, 1913). Ciò nonostante, gli studi trasversali hanno fornito un supporto empirico per categorizzare i disegni infantili in una serie di stadi distinti. Inoltre, molti di questi primi studi erano interessati solo alle descrizioni del prodotto finito: si è poi visto che i processi coinvolti nella costruzione di un disegno possono influenzare in modo cruciale la sua forma finale (Freeman, 1972, 1980).
I disegni dei bambini, con la crescita, diventano più dettagliati, meglio proporzionati e più realistici. Ci sono, per la precisione, alcune qualità distintive che in linea generale caratterizzano i disegni fatti dai bambini in ciascuno stadio del loro sviluppo grafico. Molti studiosi hanno, appunto, indagato il succedersi degli stadi, nell’ambito del disegno.
Luquet (1913, 1927) afferma che, nel momento in cui i bambini interpretano i loro scarabocchi come figure, essi hanno raggiunto lo stadio del “realismo fortuito”. In questo periodo i bambini interpretano il proprio disegno dopo averlo completato. Arnheim (1956) sostiene che il cerchio sia il pattern visivo più semplice per i bambini più piccoli: è, infatti, la prima forma chiusa rappresentata.
Dai due anni e mezzo circa, è chiaro che i bambini considerano i loro disegni come rappresentazioni di qualcosa. Tuttavia, Luquet (1913, 1927) ha notato che in questa fase di sviluppo i bambini spesso si allontanano dall’intenzione inizialmente dichiarata se il disegno sembra somigliare a qualcos’altro. Freeman (1980), a questo proposito parla di flessibilità nell’interpretazione dei propri disegni da parte dei bambini, infatti, quando un bambino deve cominciare un disegno si trova in una situazione di grande libertà, e il primo tratto che egli esegue è relativamente arbitrario. Il disegno realizzato, alla fine risulta, quindi, determinato dagli effetti cumulativi di una molteplicità di indici. Per questo motivo, secondo Freeman, è necessario analizzare attentamente il processo esecutivo di un disegno, per evidenziare quali indici sono utilizzati dai bambini come suggerimenti durante l’esecuzione. In questo periodo gli scarabocchi diventano sempre più riconoscibili da chi li osserva. Secondo Kellogg (1970), le forme irregolari diventano gradualmente identificabili come cerchi, quadrati, triangoli e croci. Spesso queste figure sono sovrapposte le une alle altre dando luogo a “combinazioni”, tra le quali la più frequente è il “mandala” – una croce sovrapposta a un cerchio -.

A tre anni e mezzo, i bambini a volte non riescono a coordinare le parti di un disegno: per esempio disegnano gli occhi esternamente al contorno della testa. Questo fenomeno, che Freeman (1980) definisce “incapacità di sintesi”, secondo Luquet (1913) è caratteristico dello stadio del “realismo mancato”: viene mancato l’obiettivo di riprodurre la realtà.
Dai i tre anni e mezzo i bambini iniziano a mettere in relazione l’uno con l’altro i dettagli del disegno. In questo periodo, un disegno tipico è quello della figura umana nota col nome di “omino testone”. In questa fase si può parlare di “realismo simbolico” (Barrett e Light, 1976), dove sembra che i disegni funzionino più come simboli che non come tentativi di rappresentare l’aspetto dell’oggetto da raffigurare.
I disegni dei bambini diventano sempre più realistici a mano a mano che essi crescono. Verso gli otto anni, ad esempio, nei disegni compaiono informazioni riguardanti la profondità e sembra evidente che i bambini lavorino sulle proporzioni e sulle relazioni; riescono a riprodurre oggetti così come li vedono dal loro punto di vista.
Quest’ultimo stadio sullo sviluppo del disegno è stato chiamato da Luquet “realismo visivo”.
All’inizio, l’ipotesi della stadialità, secondo la quale i disegni infantili rifletterebbero l’esistenza di un modello interno come guida dell’esecuzione, fu accettata da molti ricercatori. Studi recenti, tuttavia, concludono che non esistono ipotesi convincenti tali da confermare l’esistenza di una successione precisa e ben definita di stadi per l’evoluzione della rappresentazione grafica del bambino. Sembra ormai comunemente diffusa l’idea che l’evoluzione avvenga in modo graduale, senza attraversare una successione di stadi di sviluppo (Tallandini, Valentini, 1990).
Secondo Arnheim (1974), nello sviluppo dell’attività grafica infantile, i singoli stadi possono essere incorporati o addirittura saltati. In questo modo non viene rispettato un requisito fondamentale del concetto di stadio, la sequenza invariante, né una ristrutturazione dello stadio precedente.
Gardner (1980) considera lo sviluppo della capacità di rappresentazione grafica come parte integrante dello sviluppo generale del bambino.

Come si è detto, l’“omino testone” è il primo vero disegno che i bambini iniziano a rappresentare; per questo motivo, è più facile compiere degli studi sul disegno della figura umana. La rappresentazione di una persona sarà anche una delle richieste avanzate ai soggetti di questa mia ricerca.
Dai numerosi studi, si è visto che i disegni della figura umana si sviluppano in una sequenza regolare dall’“uomo girino” (o “omino testone”) alla rappresentazione realistica. La sequenza stadiale di questo tipo di disegni è stata standardizzata (Gesell, 1925; 1926 Goodenough).
La prima figura umana, che compare intorno ai tre anni, nella maggior parte dei casi è costituita da un’area circolare (la testa) contenente le caratteristiche facciali, e due gambe.
Con lo sviluppo, i disegni della figura umana diventano più complessi, infatti, aumentano numericamente gli elementi del corpo che sono rappresentati.
I bambini più piccoli, ad esempio, per raffigurare braccia e gambe, utilizzano delle linee singole; a circa sei anni, invece, descrivono questi elementi con delle regioni circoscritte. A otto - nove anni i bambini raffigurano distintamente le spalle, il collo e riescono anche a rappresentare una postura che indica un’azione (una persona che raccoglie una palla).

L’organizzazione di questo tipo di disegni, segue due tendenze: esistono delle rappresentazioni dove ogni parte del corpo ha la propria linea di contorno, altre in cui è utilizzata un’unica linea che combina l’intero corpo in una singola unità.
In generale, assistiamo ad uno sviluppo graduale dove la figura umana inizialmente è rappresentata da varie parti del corpo, ognuna delle quali con un contorno ben definito, poi viene utilizzata un’unica linea per l’intera figura. Può in ogni modo verificarsi che bambini della stessa età disegnino omini in modo diverso; anche lo stesso bambino può utilizzare un’ampio range di tecniche. Si ritiene che la norma con cui ogni parte del corpo è raffigurata, rifletta lo stile individuale del bambino, ma può anche essere influenzato dallo stile della comunità cui egli appartiene.

5. Le informazioni contenute in un disegno

Si pensa spesso che i primi disegni dei bambini siano di natura simbolica, nel senso che essi denotano un oggetto senza assomigliargli o comunicando informazioni su di esso.
Le informazioni sui soggetti o sulle scene rappresentate nei disegni possono essere di due tipi. Si possono distinguere le informazioni sulla struttura di un oggetto o di una scena, da quelle sul modo in cui l’oggetto o la scena appare da un particolare punto di vista. Le rappresentazioni che contengono informazioni strutturali possono a loro volta essere suddivise tra quelle che mostrano la struttura dell’oggetto (centrate sull’oggetto o object-centred) e quelle che mostrano le relazioni spaziali tra gli oggetti di una scena (centrate sulle relazioni o array-centred). I disegni che contengono informazioni sul modo in cui un oggetto appare da un particolare punto di vista, sono definiti come rappresentazioni centrate sull’osservatore (viewer-centred).
I primi disegni dei bambini molto piccoli sono dei simboli convenzionali, quindi comunicano scarse informazioni sulla struttura e sull’aspetto dei loro referenti.
Barrett e Light (1976) evidenziano il carattere simbolico convenzionale dei disegni infantili: i bambini di cinque anni non sono in grado di disegnare una casa modello con particolari tratti distintivi richiesti, ma disegnano una casa schematica standard. In quest’esperimento si assumeva che la conoscenza primaria dei bambini sulle case includesse il fatto che le case hanno le porte, e, infatti, tutti i disegni liberi ottenuti presentavano le porte. Dopo aver raccontato la storia di una casa senza porta, il realista intellettuale, in un secondo disegno, la ometteva. Il simbolista ignorava le informazioni della storia e non variava il secondo disegno dal primo, mentre il realista visivo non includeva la porta in nessuno dei due disegni. Gli autori hanno così verificato che nei soggetti più giovani è presente un simbolismo molto forte a dispetto dei bambini più grandi, in cui aumenta sia il realismo visivo sia il realismo intellettuale.
Oltre alle informazioni di tipo simbolico, possiamo anche trovare delle informazioni centrate sull’oggetto. Le caratteristiche, che pongono maggiormente l’accento sulla predisposizione dei bambini a presentare nei disegni le informazioni sulle qualità principali di un oggetto, sono la preferenza per la prospettiva canonica e per le rappresentazioni trasparenti.
Freeman (1980) definisce la “rappresentazione canonica” come una rappresentazione generica che rende l’oggetto facilmente riconoscibile.
Spesso i bambini scelgono di disegnare oggetti familiari nel loro orientamento canonico. Freeman e Janikoun (1972), in un loro studio, trovano che i bambini tra i cinque e i sette anni rappresentano informazioni strutturali relative all’oggetto includendo una caratteristica che lo definisce al meglio (disegnano il manico di una tazza, anche se non visibile). Fino a sette anni, i bambini includono nei loro disegni informazioni strutturali centrate sull’oggetto a spese delle informazioni sul punto di vista del disegnatore.
Freeman (1980) distingue due tipi di trasparenze: in un caso possiamo osservare il disegno di un bambino nella pancia della mamma, in cui viene raffigurato ciò che normalmente è invisibile. In un altro caso i bambini rappresentano la gamba di un cavaliere attraverso il corpo del cavallo, dove il bambino non riesce a mostrare l’occlusione di una cosa nascosta dietro un’altra.
Nel caso in cui nei disegni sia rappresentato più di un singolo oggetto, esiste la possibilità di presentare informazioni sulle relazioni fra gli oggetti oltre a quelle sugli oggetti in sé.
E’ stato dimostrato che i bambini sono sensibili alla disposizione degli oggetti e che nei loro disegni cercano di trasmettere informazioni sulle relazioni spaziali anche a spese di quelle sul punto di vista del disegnatore.
Un tipo d’informazioni relazionali consiste nel mantenere le proporzioni tra le dimensioni di più oggetti in un disegno. Secondo Arnheim (1956), per i bambini più piccoli, le dimensioni dei diversi oggetti non hanno importanza, quindi le proporzioni disegnate non sono realistiche.
Silk e Thomas (1986) hanno, invece, trovato che i bambini di tre anni e mezzo riescono ad assegnare le giuste proporzioni alle altezze di un uomo e di un cane.

I bambini, nei loro disegni, inseriscono diversi tipi d’informazioni. Dalle prime rappresentazioni simboliche, si giunge a disegni che mostrano informazioni sull’oggetto, sulla struttura e sulle relazioni spaziali.
Sembra che le informazioni presenti in un disegno siano determinate da tre fattori: la conoscenza che i bambini hanno sul tema, la loro interpretazione su quali siano gli aspetti più importanti da rappresentare e la loro capacità a produrre un disegno che raffiguri delle informazioni rilevanti.

La comunicazione d’informazioni è un’importante funzione dei disegni che è stata spesso ignorata nella ricerca sullo sviluppo della percezione e comprensione pittorica.

6. La funzione rappresentazionale del disegno

Prima che i bambini producano da sé un sistema simbolico, comprendono una varietà di gesti e parole utilizzati da altre persone. I disegni costituiscono un altro sistema simbolico cui i bambini della cultura occidentale ricevono un’esposizione precoce.

De Loache e Burns (1994) si sono chiesti se la relazione rappresentazionale tra un disegno e il suo referente fosse evidente. Era già stata dimostrata (De Loache, 1979) l’esistenza di un precoce riconoscimento di stimoli familiari dove, ad esempio, neonati di cinque mesi guardavano più a lungo una bambola vera piuttosto che la sua rappresentazione. In questo studio (1994), gli autori sostenevano che il riconoscimento fosse diverso dalla comprensione della natura di un disegno, e che quindi ci fosse una netta distinzione tra un disegno e il suo referente. Si trovò, infatti, che la relazione tra il disegno e il suo referente non era chiara, per i bambini presi in considerazione (tra i 24 e i 30 mesi), a dispetto di un riconoscimento precoce degli oggetti disegnati. Secondo questi risultati, si è quindi concluso che i bambini molto piccoli riescono a distinguere un oggetto reale dalla sua rappresentazione. Essi, pertanto, concettualizzano diversamente un disegno e il suo referente.
Il cambiamento di sviluppo osservato in questa ricerca (De Loache e Burns, 1990), riflette, inoltre, un importante incremento di flessibilità con cui i bambini comprendono e usano i disegni. Si ritiene, in ogni modo, che un fattore fondamentale sia il livello d’esperienza di simbolizzazione che hanno acquisito.

I disegni ci forniscono due tipi di relazioni con gli oggetti che rappresentano (Freeman, 1987). La prima relazione è al livello del contenuto. Ad esempio, due disegni possono essere entrambi riconoscibili come rappresentazioni della figura umana. Conteggiando il numero di particolari, si può constatare che i due disegni contengono la stessa quantità d’informazioni. In generale si può affermare che due disegni possono essere rappresentati dalla stessa descrizione strutturale, ma con diversi sistemi di produzione. L’altro tipo di relazione, che un disegno assume rispetto al suo oggetto di riferimento, è al livello della forma. Gli occhi, ad esempio, possono essere raffigurati con dei puntini in una rappresentazione oppure con dei cerchietti in un’altra; esistono diversi modi per denotare lo stesso particolare.
Quello che noi vediamo disegnato sul foglio è il risultato di un lavoro mentale, infatti, le caratteristiche nei disegni dei bambini sono il prodotto del loro successo a risolvere i problemi grafici. Altri elementi dei disegni dimostrano invece il fallimento a risolvere i problemi grafici. Il disegno è quindi un esercizio di risoluzione di problemi. Un esempio di difficoltà che si presenta a chi disegna “l’omino testone” (tadpole man) è il posizionamento delle braccia, che, infatti, ha una gran variabilità a dispetto della posizione di gambe, naso, e occhi. Sembra che le tipiche prestazioni di questi disegnatori siano implicate da una conoscenza strutturale convenzionale: le braccia sono attaccate alla testa o al tronco secondo quale di questi due elementi sia stato disegnato più grande. Freeman (1980) chiama questa modalità rappresentativa influenza delle proporzioni del corpo.

Cos’è più difficile per i bambini nei disegni? La loro difficoltà deriva maggiormente dal fatto di dover trovare delle forme grafiche, che denotino tutte insieme il referente, e di dover trovare particolari descrizioni mentali della struttura referente che possano guidare la produzione grafica (Freeman, 1987).

dott.ssa Erica Cossettini

Pubblicato il 15 aprile 2011